Vivo a Sesto Calende (Varese), e da vari anni mi occupo (da dilettante) di storia della Chiesa. Ho sempre avuto grande ammirazione per il card. Martini, e a lui regolarmente inviavo le mie pubblicazioni, ricevendone riscontri gentili ed incoraggianti. All’inizio del 2010, conoscendo la stima, l'ammirazione e l'affetto che nutro per l’arcivescovo emerito di Milano, una persona amica mi informa:
“Ho saputo che il cardinale, quasi tutte le domeniche alle 17, celebra la Messa nella chiesa dell'Aloisianum, l'istituto dei Gesuiti di Gallarate dove risiede da un paio d'anni, dopo essere rientrato da Gerusalemme”. Rifletto sul fatto che è antico il rapporto di Martini con l'Aloisianum: dal 1946 al 1948, non ancora sacerdote, vi ha soggiornato per studiare filosofia teoretica... Decido di andarci, a quella Messa domenicale, in un freddo e piovigginoso pomeriggio di fine gennaio, sperando che ci sia il cardinale.
La chiesa, dedicata al Sacro Cuore, è grande e moderna, piuttosto spoglia e severa nelle linee architettoniche. L'abside è dominato da un crocifisso scolpito, svettante e incombente dalla sommità di una croce altissima. La chiesa si viene riempiendo, per lo più di persone con i capelli bianchi. Durante la recita del Rosario, mi guardo intorno e mi domando: ci sarà o no, il cardinale? Una decina di minuti prima delle 17, ecco aprirsi una porticina laterale: entra in chiesa il card. Martini. E' vestito di scuro, con un giaccone munito di cappuccio, quasi sportivo; impugnando un sottile bastone si dirige verso la sagrestia. Poi va all'ambone un padre gesuita, che dà alcuni avvisi. Da ultimo, annuncia: “La Messa sarà presieduta dal cardinale Carlo Maria Martini”.
Alle 17 ha inizio la Messa. Il cardinale esce sul presbiterio sempre col suo bastoncino. Ha i paramenti liturgici verdi, la croce pettorale e in testa lo zucchetto cardinalizio di un colore rosso brillante. Al suo fianco, due padri Gesuiti concelebranti. Ho sentito in giro voci un po' allarmate sulle attuali condizioni di salute del cardinale, prossimo a compiere 83 anni e affetto dal morbo di Parkinson: perciò mi accingo a seguire con una certa trepidazione la sua Messa. Con grande gioia e crescente sollievo, man mano che la celebrazione procede, vedo che il cardinale ne sostiene validamente l'impegno. La sua voce, amplificata da un piccolo microfono applicato sul colletto, è un po' debole ma senza incertezze o cedimenti. La malattia, di cui il card. Martini soffre ormai da vari anni, gli impedisce di rimanere immobile, quasi statuario, come quando presiedeva le grandi Messe in Duomo. Ma il suo modo di celebrare rimane ieratico e solenne: e immagino che questo oggi comporti per lui maggiore abnegazione e fatica. Il cardinale non usa il seggio della presidenza, arrampicato in cima ad alcuni gradini, ma siede su un tronetto posto alla destra dell'altare. Uno dei concelebranti gli regge il messale.
Il Vangelo è quello della moltiplicazione dei pani e dei pesci nel racconto di San Luca. Il cardinale ne ascolta la lettura in atteggiamento assorto, di profondo raccoglimento. Poi tiene l'omelìa, seduto. Gli passano due fogli, lui inforca gli occhiali. Bastano poche parole introduttive:
“Questo brano di Vangelo lo possiamo dividere in quattro parti...”. Sorrido, e dentro di me penso: è sempre il card. Martini, con il suo stile di predicazione rigoroso e schematico, quasi geometrico, capace di scavare in un testo per far emergere percorsi insospettati, sfumature nascoste, rimandi sotterranei, analogie illuminanti. E' un'omelìa breve e semplice, la sua, senza abbellimenti, ma tutta di sostanza. E quando lo sento parlare della Chiesa fondata sulla fede degli Apostoli, non posso fare a meno di pensare che ho davanti a me un grande successore degli Apostoli, un protagonista della storia della Chiesa degli ultimi decenni, una voce ascoltata dentro e fuori la comunità cattolica: una voce che sa ancora spargere semi di dialogo, di riconciliazione, di fraternità e di speranza. Una voce che accompagna, orienta e sostiene la vita, la fatica, la ricerca di tanti cristiani, e lo fa con la sapienza di un maestro, l'autorevolezza di un padre, la sincerità di un fratello, la tenerezza di un amico. Una voce che ci rammenta che l'annuncio del Vangelo ha senso e valore solo se va incontro alle domande profonde dell'uomo, ne tocca il cuore, ne rispetta i drammi, ne allevia le sofferenze, ne alimenta le speranze, ne accresce la solidarietà.
Non solo lo stile è quello classico delle omelìe martiniane, anche l'ampio gesto della mano che accompagna e sottolinea le frasi è quello suo caratteristico. Faccio i conti: il card. Martini quest'anno compie 58 anni di sacerdozio. Questo lungo periodo si può dividere in due fasi di durata quasi uguale: 28 anni dedicati alla Sacra Scrittura, come studioso e insegnante della Bibbia, 30 anni dedicati alla Chiesa di Milano come Vescovo residenziale e poi come emerito. Ormai, il pastore ha sorpassato il professore...
Al momento della liturgia eucaristica, il cardinale raggiunge l'altare. Quando allarga le braccia e dice “il Signore sia con voi” mi sento particolarmente commosso. Così quando solleva in alto l'ostia e poi il calice. E ancora al momento della benedizione finale, quando stende il braccio teso davanti a sè, in un gesto che migliaia di volte ha ripetuto in Duomo e in centinaia di chiese della nostra vastissima diocesi.
Finita la Messa, il cardinale torna in sagrestia. Penso: se poi esce dalla porta da cui è entrato, magari posso salutarlo. Altre persone hanno fatto lo stesso ragionamento, e si assiepano sul percorso che lui dovrebbe compiere. Pochi minuti, e il cardinale ricompare. Pazientemente stringe la mano a tutti coloro che gli si fanno intorno. E' il mio turno. Cosa gli posso dire? Mi viene in mente che non manca molto al 15 febbraio e gli dico:
“Auguri anticipati di buon compleanno, Eminenza!”. Vado via contento, consapevole di aver ascoltato la voce flebile ma fortissima di un maestro di fede, di un testimone di speranza.
Mauro Lanfranchi