Il mese trascorso qui nella “terra del Santo”, maggiormente a Gerusalemme e in Galilea, mi ha dato ancora una volta una bella opportunità di rileggere il mio passato come il mio presente alla luce della presenza del Signore nella mia vita e ringraziarlo profondamente per i doni preziosi che Lui mi ha fatto: nascere in una famiglia turca di fede musulmana, praticare la religione della famiglia per alcuni anni, incontrare poi attraverso quella fede in un unico Dio il Signore Gesù, per poi diventare sacerdote Gesuita, discepolo del “Padre Ignazio”. Tutto, di certo, per grazia di Dio e la “sua maggiore gloria”.
Sono turco e sono divenuto cristiano da adulto. Da giovane musulmano avevo sempre desiderato di visitare Gerusalemme, uno dei tre luoghi sacri per la religione islamica. Lo volevo più della Mecca anche perché ero consapevole che qui avrei incontrato non solo l’Islam ma tutte le altre fedi, tutti i profeti, tutti i libri. Ciò non è stato possibile durante gli anni che hanno preceduto il mio battesimo, ma ora, da gesuita, quando sono venuto a conoscenza del programma di formazione per i Gesuiti, organizzato e proposto da p. Stefano Bittasi SJ - il quale non è soltanto un esperto di queste terre ma anche uno che le ama appassionatamente - non ci ho pensato due volte e ho chiesto ai miei superiori di poter partecipare. Il programma era affascinante fin dall’inizio, anche perché non proponeva soltanto visite devozionali o escursioni veloci, ma soprattutto studi archeologici e biblici approfonditi, workshop sul passato e sull’oggi di queste terre, sulle fedi che si basano su esse e così via. C’era anche un valore aggiunto davanti al quale è difficile rimanere indifferenti: esercizi ignaziani di otto giorni con una “composizione di luogo” a portata di mano!
È difficile descrivere le emozioni che ho vissuto nelle profondità del mio cuore quando mi sono trovato sulla spianata del Tempio, all’interno della Al-Haram Al-Sharif a pregare sulla roccia da cui il profeta Muhammad sarebbe salito al cielo sul dorso del suo cavallo Burak - nome dei miei due nipoti. Come è difficile esprimere in poche righe ciò che ho provato camminando da “gesuita turco” a Gerusalemme sui passi del nostro Padre Ignazio, il quale dovette affrontare l’ostilità degli Ottomani per poter pregare sulle orme di Gesù: “In quell’anno non salparono navi per Oriente perché i Veneziani avevano rotto le relazioni con i Turchi” (Autobiografia, n. 94).
Tutto questo è stato vissuto in un clima di grande tensione a causa dell'intensificarsi del conflitto Israelo-Palestinese a Gaza. Nonostante le sirene, i check-point, le manifestazioni nelle zone visitate e l’informazione spesso parziale dei media europei, chi ci ha guidato durante questo mese ci ha offerto tutto quello che era necessario per non giudicare sbrigativamente la situazione, ma pregare piuttosto per una pace duratura, una giustizia evangelica, insomma, un futuro da vivere nel rispetto delle diversità di queste terre.
“Se ti dimentico [...]” (Salmo 137:5-7) dice il salmista; di certo anch’io non dimenticherò questa terra, la sua storia, il suo oggi, la sua gente, i suoi conflitti, anche perché tutto quello che abbiamo esperimentato qui continuerà inevitabilmente ad attraversare le nostre preghiere, i nostri esercizi spirituali, i nostri studi.
Antuan Ilgit S.J.
Giovane Padre – sta conseguendo il suo PHD in Morale a Boston