La strada dell'incontro fraterno con Israele passa per Auschwitz


In occasione della Giornata della memoria in ricordo delle vittime dell'Olocausto (27 gennaio), pubblichiamo il testo integrale del saluto che il cardinale Carlo Maria Martini rivolse ai partecipanti al Convegno di Studi «Educare dopo Auschwitz», il 24 novembre 1994 (il testo è tratto da C. M. Martini, Guardando al futuro, EDB, Bologna 1995)


In Polonia, non lontano da Cracovia, sta la cittadina di Oswicim. Un ampio tratto di campagna conserva ancora la struttura e il nome del campo di sterminio tedesco dove, cinquant'anni fa, vennero sterminati gli ebrei: Auschwitz-Birkenau. Martiri ed eroi, bimbi e vecchi furono avviati alle camere a gas. Benche molti altri innocenti, polacchi e d'ogni nazione europea, tra cui san Massimiliano Kolbe, zingari, omosessuali abbiano qui trovato orrenda morte, tuttavia Auschwitz è oggi assurto quasi a luogo simbolico della Shoah, il genocidio del popolo ebraico in Europa.

Ma esso può essere anche considerato quale simbolo più vasto di una barbarie e di un disegno criminoso che imperversò sull'Europa moltiplicando i gesti gratuiti di crudeltà. Perché, come scrive Giuseppe Dossetti nella introduzione a Le querce di Montesole: "Auschwitz non è stato un puro episodio isolato, se pure tremendo, e nemmeno un certo periodo della storia moderna, ma un punto di svolta, un'era nuova in cui il progresso tecnologico, la pianificazione politica, gli odierni sistemi burocratici e l'assoluta scomparsa di vincoli morali tradizionali si sono combinati per rendere la distruzione umana di massa una possibilità sempre presente".(1)

Ad Auschwitz papa Giovanni Paolo Il si è recato in uno dei suoi primi pellegrinaggi, nel giugno 1979, per rendere omaggio alle vittime della Shoah, per testimoniare che solo ricordando e insegnando a fare memoria potremo aprirci alla conversione, al perdono, alla speranza. I mostri del nazionalismo, del razzismo, del fanatismo ideologico e religioso possono ancora affascinare nuove generazioni, se noi le priveremo della memoria.

Ad Auschwitz siamo chiamati anche noi, all'aurora del terzo millennio della redenzione, quasi come a una sosta dolorosa sulla via verso il Sinai e verso Gerusalemme. La strada dell'incontro fraterno con Israele passa ormai necessariamente per Auschwitz. E da qui passano pure tante altre strade di incontro tra uomini e donne della fine di questo secolo: qui si fa silenzio, si riflette e si prega, da qui scaturisce l'impegno a costruire insieme un mondo di pace.

Una grave responsabilità educativa

Affinché la profezia della pace si attui, occorrono cuori educati al rispetto, all'incontro, al dialogo.

Basti pensare a quello che fu e significò la pubblicazione del Manifesto della razza, il 5 settembre 1938, in Italia. Mancava allora una cultura capace di intendere il grido di Pio XI: "siamo spiritualmente semiti", "l'antisemitismo è inammissibile".

In positivo, a noi spetta di elaborare una teologia, un'esegesi, una storia e una giurisprudenza che, dopo la tragedia della Shoah, non dimentichino la costante dimensione etica della situazione umana e la particolare chiamata del popolo ebraico da parte di Dio.

C'è infatti, purtroppo, del vero in ciò che ha scritto Elie Wiesel nel 1977, dopo decenni di testimonianza su quel mistero di morte che è Auschwitz: "La testimonianza non è stata ascoltata. Il mondo è sempre lo stesso".(2) E la ragione la suggeriva un altro pensatore ebraico, S. Shaphiro: "La testimonianza viene ascoltata all'interno di un contesto inospitale, di una teologia non spezzata e di un'ermeneutica tradizionale".(3) Su questo Giuseppe Dossetti, nel libro sopra citato, fa un interessante commento.(4)

Costruire lo "shalom"

I profeti d'Israele ancora ci invitano a guardare a Gerusalemme con speranza, per divenire costruttori di pace: "Giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re [...] l'arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace ai popoli" (Zc 9,9-10).

Ecco il programma che il Concilio Vaticano II indicava nel decreto Nostra Aetate, dopo aver ricordato il vincolo sacro che lega Chiesa e Israele: "Non possiamo invocare Dio padre di tutti, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono creati a immagine di Dio [...] Viene dunque tolto il fondamento a ogni teoria o prassi che introduce tra uomo e uomo, tra popolo e popolo, discriminazioni in ciò che riguarda la dignità umana e i diritti che ne promanano".(5)

Ebrei, cristiani, uomini e donne di buona volontà, la tragedia della Shoah ci sospinge a cooperare per costruire la città dell'uomo nella pace, la città di Dio nella pace, lo shalom.

Termino con le parole di Primo Levi, incise all'ingresso del Memoriale degli italiani sepolti ad Auschwitz:

"Visitatore, osserva le vestigia di questo campo e medita. Da qualunque parte tu venga, tu non sei un estraneo. Fa' che il tuo viaggio non sia stato inutile, che non sia inutile la nostra morte. Per te e per i tuoi figli le ceneri di Auschwitz valgano di ammonimento. Fa' che il frutto orrendo dell'odio, di cui hai visto qui le tracce, non dia nuovo seme né domani né mai".


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1. Le querce di Montesole, vita e morte delle comunità martiri nell'Appennino bolognese, il Mulino, Bologna 1986, p. XXVI.
 
2. Elie Wiesel, Art and Culture after the Holocaust, in Auschwitz: Beginning or a New Era?, KTAV Publishing Co., New York 1977, p. 405.

3. Cfr. in Concilium (1984)5, 19.

4. Le querce di Montesole, cit., pp. XXVI-XXVII.

5. Concilio Vaticano II, Nostra Aetate, 5: Enchiridion Vaticanum 11/869.870.

[Saluto al Convegno di Studi Educare dopo Auschwitz, 24 novembre 1994, in Guardando al futuro, EDB, Bologna 1995]