Quando arrivai a Milano, nella nostra casa di Via S.Vittore, nel settembre 1979, trovai una città in fermento per tanti motivi. L’avv. Giorgio Ambrosoli era stato ucciso due mesi prima a due passi dal nostro Pensionato universitario, il carcere di S.Vittore ospitava terroristi e feroci assassini che ogni tanto tentavano la fuga, come Vallanzasca, gli scioperi bloccavano continuamente il traffico cittadino e il card. Giovanni Colombo era uscito di scena. Questo lo sfondo, mentre la Curia Ambrosiana ed i Movimenti ecclesiali emergenti, Comunione e Liberazione e il Rinnovamento dello Spirito, attendevano, assieme ai numerosi cittadini, di conoscere il nome del nuovo Vescovo.
Anche nella nostra comunità si avanzavano ipotesi in base a quanto ascoltato qua e là. Le sorelle che lavoravano a Quarto Oggiaro portavano echi dalla zona del loro apostolato. La direttrice del Pensionato ascoltava le universitarie e la portinaia, in dialogo anche con le Ex Alunne, sembrava la più informata. In città molti temevano che il “Papa polacco”, giovane e con relativa conoscenza della Diocesi, facesse una scelta “a sorpresa”. Una fetta del mondo ecclesiale era certa che il prossimo Vescovo sarebbe stato un lombardo, come Ratti, Montini e Colombo, possibilmente un ambrosiano, ben conosciuto ed inserito nell’ambiente. E si pregava….
Quando finalmente in dicembre il nome fu comunicato, la nostra comunità fu piena di gioia perché molte sorelle conoscevano padre Martini e perché…..era gesuita. Ma lo stupore della città fu grande: Martini non era ancora vescovo, ma un professore, un biblista e, per giunta, apparteneva alla Compagnia di Gesù! Che esperienza pastorale aveva? Come si sarebbe mosso nella Diocesi più grande del mondo? E c’era un altro motivo che nessuno osava dire, ma che lo stesso Cardinale nelle sue
Conversazioni notturne a Gerusalemme nel 2008 sottolineò:
"I gesuiti non dovrebbero diventare vescovi e tanto meno un gesuita di Torino a Milano".
Entrò in città nel febbraio del 1980, partendo dalla basilica di S.Eustorgio, come tutti i vescovi ambrosiani e poi a piedi raggiunse il Duomo.
"Vengo da lontano, come Paolo, con titubanza" disse e in mano aveva la Bibbia. Così Mons. Carlo Maria Martini cominciò la sua missione sulla cattedra di Ambrogio e Carlo, sotto lo sguardo vigile della Madonnina.
Naturalmente tutti attendevano, guardavano, commentavano, ma il gesuita da poco consacrato vescovo mostrò subito d’avere un programma ben chiaro: mettersi all’ascolto della città per poterla aiutare.
Cominciò a visitare le Parrocchie e quella di San Vittore al corpo, la nostra, fu una delle prime perché in essa c’era il carcere che richiedeva particolare attenzione. Così l’attività del Pastore divenne visibile nei settori più diversi e i giovani, le donne, i fedeli, i non credenti, il clero, i seminaristi ed i carcerati….lo sentirono attento e vicino. Ma l’Arcivescovo dialogò subito con gli ebrei ed i musulmani, senza dimenticare i politici, gli intellettuali e gli industriali.
E i poveri? I meno fortunati? Con discrezione ed amore paterno Martini sapeva raggiungerli nelle forme e nei modi più diversi, nelle loro case, nei quartieri di periferia e ovunque venisse a conoscenza di una sofferenza.
I corsi di Esercizi spirituali, le conferenze, gli incontri a tutti i livelli erano in calendario ogni mese perché il centro della sua multiforme attività restò sempre la Parola che, come disse anni dopo il cardinale Tettamanzi, fu
“studiata, insegnata, resa guida di cammino pastorale e strumento della vita.
Parola offerta a tutti, ai credenti e agli uomini di buona volontà. Parola preziosa perché proveniente dall’Alto, per affrontare e sciogliere i problemi del cuore umano e della società”.
E finalmente giunse la prima Lettera al clero e ai fedeli
La dimensione della vita contemplativa, in cui il Pastore parlò a cuore aperto.
“Tra le tante cose che ho potuto osservare e ammirare in questi mesi,
accanto alle splendide iniziative che fioriscono ovunque nella Diocesi per l’opera infaticabile dei battezzati, sacerdoti e laici, mi è sembrato fosse utile richiamare l’importanza di spazi di riflessione
contemplativa, non per diminuire l’impegno, ma per renderlo più cosciente e attento…..Ammiro
l’impegno stressante per la costruzione della città, per la difesa e la diffusione del benessere, per il trionfo dell’ordine….ma vorrei ricordare che l’ansia della vita non è la legge suprema. Essa è vinta da un senso più profondo dell’essere dell’uomo, da un ritorno alle radici dell’esistenza”.
Come reagì Milano? All’incertezza dell’attesa, già nel 1980 la città cominciò a capire, ad ammirare, a lasciarsi coinvolgere e via via a seguire il Pastore che, in Duomo, nei luoghi più diversi ed anche attraverso la TV locale, i libri e le conferenze raggiungeva moltissime persone.
Naturalmente le note stonate non mancarono a farsi sentire ed Egli capì che la strada era in salita, piena di difficoltà e d’imprevisti e che
“il pastorale di S.Carlo pesava”, come disse al cardinale Tettamanzi, lasciando Milano 22 anni dopo. Ma andò avanti, mentre la stagione di Tangentopoli stava per cominciare.
Rachele Gulisano
Avigliana, 8 settembre 2012