Elogio del cardinal Martini, «conservatore» dell'Evangelo

Maria Cristina Bartolomei
docente di filosofia morale e di filosofia della religione

Amore: l'enorme ondata di commozione che si è levata intorno al cardinale Carlo Maria Martini, avvolgendolo in una nube luminosa e calda di pensieri e preghiere, non ha altro nome. Non un'emozione sensazionalistica, ma un sentire profondo e composto, nutrito di gratitudine, stima, venerazione e di un senso di orfanezza.

Come mai un uomo così riservato e misurato, dal tratto nobilmente elevato, ha potuto suscitare tanta intensità di affetti? Che cosa ha reso il suo ministero così liberante e universale? Perché persone tra loro tanto diverse hanno visto in lui un padre, un maestro, un amico? Le sue molte iniziative innovative, il suo magistero illuminato, non bastano a spiegarlo. Questi aspetti sono frutti di un albero, la cui radice sta nel primato da lui accordato sia all'umanità sia al messaggio di Dio che si comunica attraverso le Scritture. Un paradosso solo apparente: adesione all'umanità — propria e altrui, segnata da storicità e diversità — e alla Parola di Dio sono due cerchi concentrici. La Bibbia annuncia un Dio in favore del mondo e dell'uomo, della liberazione, felicità e vita, come suggerisce il Salmo 119,105: «La tua parola è lucerna al mio passo, il lume acceso sul mio sentiero», versetto caro al cardinal Martini. Il cerchio della fede cristiana trova la sua stessa ragion d'essere nella coincidenza con il cerchio di ciò che accomuna tutti gli umani, anche se si estende oltre esso. I personali doni del cardinal Martini, la sua apertura all'incontro, il suo cuore mite, la sua attitudine all'ascolto e all'accoglienza, il suo sincero interesse per l'«altro» si radicavano nella coscienza di condividere con tutti il mestiere di uomo, chiamato a essere un pensante, che si interroga, dubita, cerca, si fa inquietare. L'esser credente non soppianta tale disposizione, bensì dialoga con essa. Questa la radice profonda della "Cattedra dei non credenti". Oltre la sintonia con i credenti di ogni religione, troviamo poi il basilare riferimento alla Bibbia («Un vescovo che, senza la Parola di Dio, non è nulla», qualcuno disse criticamente di lui, che lo ricordava come il più grande elogio), che lo accomunava all'amato Israele e, da cristiano, all'Evangelo. Di qui, il dialogo con l'ebraismo, l'ecumenismo, l'iniziativa della Scuola della Parola che, dalla Lectio divina da lui tenuta in Duomo per i giovani, si estese a tutta la diocesi. Non altro è il senso della Chiesa: «La Chiesa non ha il compito di far crescere il senso etico nella gente, anche se esso la riguarda da vicino. Il compito della Chiesa è molto più ampio: far risplendere il Vangelo, che è perdono, misericordia e capacità di perdonare agli altri» (CM. Martini - I. Marino, Credere e conoscere). Riferendosi al rito di imposizione del Vangelo sul capo del nuovo vescovo, disse: «Il vescovo deve essere un Vangelo vivente, sottoposto a esso in ogni senso» (CM. Martini, Il vescovo). L'arcivescovo Martini realizzò il simbolo del suo umile ingresso a Milano, a piedi, col Vangelo in mano, ponendosi al servizio di tutte le componenti della polis umana, con attenzione per i soggetti più sfavoriti o fragili (i giovani, le donne, ma, in modo speciale, gli immigrati, gli homeless, i malati, i carcerati: «Gli orfani dei diritti ben difficilmente potranno essere figli dei doveri», ebbe a dire) senza tentazioni egemoniche. E intese il suo ministero nella Chiesa senza tentazioni di sottacerne problemi e di sottrarsi dal prendere posizioni franche e aperte, anche a costo di "adversa", come attestò fino alla sua ultima intervista (8 agosto 2012).

Fu un "conservatore" del cuore della Tradizione della Chiesa, che è l'Evangelo, la Scrittura interpellati dalla storia umana, e perciò all'opposto del conservatorismo e del tradizionalismo. Auspicando che la conciliarità divenisse la regola e non l'eccezione nella vita ecclesiale, fu «il Concilio vivente» incarnato in una diocesi. Il motto episcopale del cardinal Martini è tratto dalla Regola pastorale di san Gregorio Magno: «Pro veritate adversa diligere» (Al servizio della verità, esser contenti delle contraddizioni), che nel testo continua: «Prospera formidando declinare» (e rifuggire con timore dalle situazioni favorevoli). San Gregorio fa qui riferimento a Gesù che fuggì da solo sul monte per sottrarsi alla folla che voleva farlo re, e invece si consegnò senza resistenza all'arresto. Così la citazione acquisisce il suo senso pieno, orientando anche i rapporti tra Chiesa e potere: un senso che tutta l'opera di padre Carlo Maria irradiò, opposto all'idea di un possesso della verità in nome della quale si combattono gli altri. Che il cardinal Martini sia deceduto nel giorno in cui la liturgia ambrosiana fa memoria di due vescovi (di Como), Abbondio e Felice —quest'ultimo consacrato da Ambrogio —, e sia stato sepolto nel giorno in cui la Chiesa, romana e ambrosiana, fa memoria di Gregorio Magno papa è una piccola traccia simbolica — come il bellissimo arcobaleno apparso su Milano mentre giungeva la notizia della morte dell'arcivescovo — per indurci a cogliere una filigrana luminosa in questo momento di dolore per la perdita.

Maria Cristina Bartolomei, “Jesus” ottobre 2012