Amore: l'enorme ondata di commozione che si è levata intorno al cardinale Carlo Maria Martini,
avvolgendolo in una nube luminosa e calda di pensieri e preghiere, non ha altro nome. Non
un'emozione sensazionalistica, ma un sentire profondo e composto, nutrito di gratitudine, stima,
venerazione e di un senso di orfanezza.
Come mai un uomo così riservato e misurato, dal tratto
nobilmente elevato, ha potuto suscitare tanta intensità di affetti? Che cosa ha reso il suo ministero
così liberante e universale? Perché persone tra loro tanto diverse hanno visto in lui un padre, un
maestro, un amico? Le sue molte iniziative innovative, il suo magistero illuminato, non bastano a
spiegarlo. Questi aspetti sono frutti di un albero, la cui radice sta nel primato da lui accordato sia
all'umanità sia al messaggio di Dio che si comunica attraverso le Scritture. Un paradosso solo
apparente: adesione all'umanità — propria e altrui, segnata da storicità e diversità — e alla Parola di
Dio sono due cerchi concentrici. La Bibbia annuncia un Dio in favore del mondo e dell'uomo, della
liberazione, felicità e vita, come suggerisce il Salmo 119,105: «La tua parola è lucerna al mio passo,
il lume acceso sul mio sentiero», versetto caro al cardinal Martini.
Il cerchio della fede cristiana trova la sua stessa ragion d'essere nella coincidenza con il cerchio di
ciò che accomuna tutti gli umani, anche se si estende oltre esso. I personali doni del cardinal
Martini, la sua apertura all'incontro, il suo cuore mite, la sua attitudine all'ascolto e all'accoglienza,
il suo sincero interesse per l'«altro» si radicavano nella coscienza di condividere con tutti il mestiere
di uomo, chiamato a essere un pensante, che si interroga, dubita, cerca, si fa inquietare. L'esser
credente non soppianta tale disposizione, bensì dialoga con essa. Questa la radice profonda della
"Cattedra dei non credenti". Oltre la sintonia con i credenti di ogni religione, troviamo poi il
basilare riferimento alla Bibbia («Un vescovo che, senza la Parola di Dio, non è nulla», qualcuno
disse criticamente di lui, che lo ricordava come il più grande elogio), che lo accomunava all'amato
Israele e, da cristiano, all'Evangelo. Di qui, il dialogo con l'ebraismo, l'ecumenismo, l'iniziativa
della Scuola della Parola che, dalla
Lectio divina da lui tenuta in Duomo per i giovani, si estese a
tutta la diocesi. Non altro è il senso della Chiesa: «La Chiesa non ha il compito di far crescere il
senso etico nella gente, anche se esso la riguarda da vicino. Il compito della Chiesa è molto più
ampio: far risplendere il Vangelo, che è perdono, misericordia e capacità di perdonare agli altri»
(CM. Martini - I. Marino,
Credere e conoscere). Riferendosi al rito di imposizione del Vangelo sul
capo del nuovo vescovo, disse: «Il vescovo deve essere un Vangelo vivente, sottoposto a esso in
ogni senso» (CM. Martini,
Il vescovo). L'arcivescovo Martini realizzò il simbolo del suo umile
ingresso a Milano, a piedi, col Vangelo in mano, ponendosi al servizio di tutte le componenti della
polis umana, con attenzione per i soggetti più sfavoriti o fragili (i giovani, le donne, ma, in modo
speciale, gli immigrati, gli homeless, i malati, i carcerati: «Gli orfani dei diritti ben difficilmente
potranno essere figli dei doveri», ebbe a dire) senza tentazioni egemoniche. E intese il suo ministero
nella Chiesa senza tentazioni di sottacerne problemi e di sottrarsi dal prendere posizioni franche e
aperte, anche a costo di "adversa", come attestò fino alla sua ultima intervista (8 agosto 2012).
Fu
un "conservatore" del cuore della Tradizione della Chiesa, che è l'Evangelo, la Scrittura interpellati
dalla storia umana, e perciò all'opposto del conservatorismo e del tradizionalismo. Auspicando che
la conciliarità divenisse la regola e non l'eccezione nella vita ecclesiale, fu «il Concilio vivente»
incarnato in una diocesi.
Il motto episcopale del cardinal Martini è tratto dalla Regola pastorale di san Gregorio Magno:
«Pro veritate adversa diligere» (Al servizio della verità, esser contenti delle contraddizioni), che
nel testo continua: «Prospera formidando declinare» (e rifuggire con timore dalle situazioni
favorevoli). San Gregorio fa qui riferimento a Gesù che fuggì da solo sul monte per sottrarsi alla
folla che voleva farlo re, e invece si consegnò senza resistenza all'arresto. Così la citazione
acquisisce il suo senso pieno, orientando anche i rapporti tra Chiesa e potere: un senso che tutta
l'opera di padre Carlo Maria irradiò, opposto all'idea di un possesso della verità in nome della quale
si combattono gli altri. Che il cardinal Martini sia deceduto nel giorno in cui la liturgia ambrosiana
fa memoria di due vescovi (di Como), Abbondio e Felice —quest'ultimo consacrato da Ambrogio
—, e sia stato sepolto nel giorno in cui la Chiesa, romana e ambrosiana, fa memoria di Gregorio
Magno papa è una piccola traccia simbolica — come il bellissimo arcobaleno apparso su Milano
mentre giungeva la notizia della morte dell'arcivescovo — per indurci a cogliere una filigrana
luminosa in questo momento di dolore per la perdita.
Maria Cristina Bartolomei, “Jesus” ottobre 2012