Sabato 31 agosto si è celebrato il
primo anniversario della morte
del card. Carlo Maria Martini. Tra
i diversi eventi che hanno voluto
ricordare la figura dell’arcivescovo
di Milano, due sono i più significativi:
la celebrazione di popolo
della Chiesa di Milano e la
nascita della “Fondazione Carlo
Maria Martini” ad opera della
Compagnia dei gesuiti, presentata
a papa Francesco dal padre provinciale
Carlo Casalone. A questi
due avvenimenti potremmo aggiungere
l’iniziativa che ha preso
avvio in giugno, ad opera del rabbino
Laras di Milano, di dedicare
al cardinale una foresta presso il
lago di Tiberiade in Terra Santa.
Più volte Martini ha letto la
propria esistenza attorno a queste
tre città: Roma, Milano e Gerusalemme,
che sono state le tappe
della sua vita: la prima, dedicata
agli studi biblici e alla vita della
Compagnia; la seconda, al servizio
pastorale come vescovo di una
grande città; la terza, consacrata
alla preghiera e al dialogo interreligioso
in una città che è simbolo
di una difficile convivenza tra le
tre grandi religioni. Sono i soggetti
che, in qualche modo, diventano
i destinatari della sua eredità:
la chiesa di Milano, la Compagnia
dei padri gesuiti e il cammino del
dialogo religioso.
Il messaggio di papa Francesco
e le sue parole hanno dato all’anniversario
una portata che parla
all’intera Chiesa, così come è stata
la figura del cardinale. «La memoria
dei padri è un atto di giustizia
– ha detto Francesco –. E
Martini è stato un padre per tutta
la Chiesa. Anche noi, alla “fine del
mondo”, facevamo gli esercizi con
i suoi testi». È quindi l’intera
chiesa che è chiamata ad accogliere
l’eredità di Martini.
Un lascito prezioso
La partecipazione di popolo
alla celebrazione eucaristica tenuta
in duomo dal card. Scola è
una conferma di quanto già si era
potuto percepire nel giorno del funerale
di Martini: la Chiesa di Milano
non dimentica il proprio pastore
che è nel cuore di tanti, dentro
e fuori la Chiesa. Non credo
vada trascurato quest’aspetto: sarà
anzitutto la diocesi che dovrà farsi
carico di custodire l’eredità di chi,
in modo così significativo, ha lasciato
una traccia nel tessuto pastorale,
nel sentire spirituale, nella
coscienza civica della città. A questo
livello, raccogliere l’eredità di
Martini passa soprattutto dal
ruolo riconosciuto alla parola di
Dio, lampada del cammino, sia
nei cammini personali sia in
quelli comunitari. Chi è cresciuto
alla scuola di Martini questo si
aspetta dalla sua Chiesa: che la parola
di Dio sia il criterio di discernimento,
capace di dare forma al
pensiero e alla prassi di una comunità.
La presenza e l’affetto della
città di Milano, soprattutto il
giorno del suo funerale, sono andati
ben al di là dei confini ecclesiali:
Martini è stato il pastore di
tanti uomini e donne che erano e
sono ai limiti della Chiesa, ma che
lo sentivano come un punto di riferimento.
Anche questa “Chiesa
nascosta”, anonima, è destinataria
del suo testamento spirituale.
Sono infiniti i rivoli di un dialogo
tra credenti e non credenti, tra uomini
e donne che cercano la giustizia
e la verità senza presumere
di possederla e, proprio in questi
dialoghi aperti, rimane una traccia
di ciò che il cardinale ha lasciato.
Potremmo dire che una figura
come quella di Martini appartiene
a tutti e tutti sono chiamati
a raccogliere la sua eredità.
Indubbiamente è stata la Compagnia
dei gesuiti a prendere l’iniziativa
più significativa, anche
perché a loro il cardinale ha lasciato
il proprio archivio personale
e quindi il compito di fare tesoro
della sua eredità spirituale.
Nasce così la “Fondazione Carlo
Maria Martini”, le cui finalità
sono:
* raccogliere in un archivio le
opere, gli scritti e gli interventi del
cardinale, promuoverne lo studio,
incoraggiarne e autorizzarne la
pubblicazione;
* sostenere e alimentare il dialogo
ecumenico e interreligioso
con la società civile e con i non
credenti, unitamente all’approfondimento
del rapporto indissolubile
tra fede, giustizia e cultura;
* promuovere lo studio della
sacra Scrittura con un taglio che
metta in gioco anche altre discipline,
tra cui la spiritualità e le
scienze sociali;
* contribuire a progetti formativi
e pastorali che valorizzino la
pedagogia ignaziana e che siano
soprattutto rivolti ai giovani;
* sostenere l’approfondimento
del significato e la diffusione della
pratica degli esercizi spirituali.
I suoi scritti
Per quanto riguarda il tesoro
dei suoi scritti, si tratta di un lavoro
non semplice, non solo per
la quantità notevole di essi, ma
anche per la diversità dei loro generi
letterari e della loro redazione.
Di per sé, la maggior parte
dei testi è costituita da libri che “io
non ho scritto né letto”, come diceva
scherzando Martini; parole
riprese e trascritte da altri, omelie,
esercizi spirituali, interventi, discorsi.
Molti sono i testi che Martini
non ha scritto da solo, come
le lettere pastorali, o diversi interventi
rivolti alla città. Potremmo
dire che occorrerà uno studio critico
redazionale del tipo di quelli
utilizzati per la Scrittura! La sezione
della Fondazione dedicata
alle sue opere distingue già fin
d’ora: Scritti di Carlo Maria Martini,
Scritti su Carlo Maria Martini,
Discorsi di Sant’Ambrogio, Cattedra
dei non credenti, Scritti pastorali
e argomenti per temi (Antico
Testamento, Nuovo Testamento,
giustizia).
Non sarà un lavoro semplice e
breve, ma sarà un’opera utile per
mettere a disposizione il suo pensiero,
sia per chi vorrà studiarne
le figura, sia per chi semplicemente
vorrà ancora attingere alla
sua sapiente lettura della Scrittura
e della vita.
Ovviamente, la fondazione si
propone di dare spazio alla promozione
dello studio della Scrittura,
di cui Martini è stato testimone
insigne sia da rettore dell’Istituto
Biblico sia da pastore
della chiesa di Milano. Uno studio
– potremmo dire – della Scrittura
che sia, contemporaneamente, rigoroso
nel metodo e sensibile al
profilo spirituale e pastorale,
come Martini ha incarnato nella
sua stessa parabola personale.
L’intento della fondazione è poi
quello di mantenere vivo il “metodo
Martini”, fatto di dialogo, di
formazione delle coscienze, di discernimento
orientato dalla parola
di Dio.
La ricchezza della figura di
Martini crescerà nel tempo. Potremmo
dire che lo stesso papa
Francesco è, in qualche modo, un
frutto del “metodo Martini”, del
suo stile discreto e della sua capacità
di tessere relazioni. Papa
Francesco, nell’udienza privata
con padre Casalone, ha ricordato
lo stile di Martini negli anni difficili
della Compagnia. Egli indicò
la via per mantenere l’attenzione
sulla giustizia, favorendo l’unione
all’interno della Compagnia stessa
e nei rapporti tra i gesuiti e la
Santa Sede, a partire dalla prospettiva
del Vangelo.
Martini è stato uomo del dialogo
e uomo che ha amato profondamente
la Chiesa. Tenere
vivo il senso della giustizia,
l’amore per il Vangelo, il servizio
alla Chiesa, la stima per l’altro e
l’ascolto di ogni cammino di ricerca,
sono i frutti che egli ha disseminato
nella Chiesa e negli uomini
che lo hanno conosciuto.
Frutti che – come insegna la Scrittura
– non sempre raccoglie chi
semina. Così ora noi abbiamo la
grazia e il dovere di raccogliere
quanto Martini ha seminato e, insieme,
di seminare perché le sue
intuizioni diano frutti, senza pretendere
di vederne i risultati. D’altra
parte, anche quest’amore alla
Chiesa e questa fiducia nel futuro
il cardinale ce li ha insegnati e ce
li ha lasciati con la sua testimonianza,
fino all’ultimo giorno
della sua lunga vita.
Antonio Torresin
"Settimana" n. 32, 15 settembre 2013