Le questioni morali, in particolare quelle «eticamente sensibili» – come oggi vengono
comunemente definite con una dizione in verità discutibile – hanno costituito per il cardinale
Martini motivo di grande interesse, sia per i loro importanti risvolti culturali che per le loro
immediate e significative ricadute in campo pastorale. Numerose sono state le occasioni – convegni,
omelie, interviste, saggi – in cui egli è intervenuto su tali questioni, aprendo interrogativi e offrendo
spunti di riflessione, con grande finezza intellettuale e con un atteggiamento problematico volto a
sollecitare la ricerca, al di fuori di preclusioni ideologiche e di rigide chiusure confessionali.
Le tematiche affrontate fino agli ultimi tempi, quando la malattia lo andava lentamente ma
inesorabilmente consumando – appartiene a quest'ultima fase il dialogo con Ignazio Marino (cfr.
Credere e conoscere, Einaudi, Torino 2012) –, spaziano dagli inizi e dalla fine della vita umana –
diagnosi preimpianto, cellule staminali embrionali, fecondazione artificiale, eutanasia, accanimento
terapeutico, testamento biologico, ecc. – alle complesse dinamiche della sessualità e del suo
esercizio, fino all'omosessualità e alle coppie di fatto (per non citarne che alcune tra le più
rilevanti).
Ma, al di là dell'arco assai ampio di problemi analizzati, ciò che soprattutto colpisce è il metodo
rigoroso con cui il cardinal Martini si è accostato a essi. Un metodo che unisce una grande
attenzione ai contributi della scienza, di cui riconosceva i meriti indiscussi (soprattutto quelli
acquisiti in campo biomedico), all'esigenza di andare oltre il dato scientifico per aprirsi a un «ampio
sapere di fondo», che conferisce alle questioni riguardanti la vita umana il loro ultimo significato.
La grande capacità di ascolto, che nasceva da un profondo rispetto delle competenze di ogni genere
con le quali il cardinal Martini amava confrontarsi – ho avuto io stesso la fortuna di sperimentarlo
in qualche circostanza – gli ha permesso di inoltrarsi in diversi campi del sapere, afferrandone dal di
dentro i significati e, nello stesso tempo, di non rinunciare a far valere la propria competenza di
uomo della Parola, che guarda alla vita come «all'esperienza di un senso donato, che dischiude alla
coscienza una promessa che la interpella, sollecitandola all'impegno e alla decisione di sé nella
relazione con l'altro» (
Credere e conoscere, p. 5).
In questo contesto vanno inserite le sue prese di posizione sui vari temi dell'etica pubblica, e in
particolare della bioetica, dove, pur rilevando la fondamentale importanza di una riflessione morale
ancorata a valori irrinunciabili – a questo riteneva dovesse riferirsi in maniera prioritaria la
riflessione della Chiesa – egli non disdegnava di misurarsi anche con la casistica concreta, aprendo
il confronto con il mondo laico con una attitudine dialogica che gli è stata unanimemente
riconosciuta.
Il modello teorico di riferimento è stato per lui, su questo terreno, quello di un'etica duttile,
preoccupata anzitutto della tutela della dignità della persona e del rispetto e della promozione dei
suoi diritti e attenta a valutare, di volta in volta, le conseguenze positive e negative delle azioni; a
soppesarne, in altri termini, i benefici e i danni (o i rischi), facendo spazio a una forma di
discernimento che prendeva in seria considerazione tanto le condizioni concrete e le intenzioni dei
soggetti implicati quanto le ricadute di ordine sociale. Un modello di etica, dunque, che,
appoggiandosi su argomentazioni razionali, aveva come riferimento il bene possibile, talora il male
minore, e che lo ha condotto, di fronte ad alcune questioni – come quelle della contraccezione, della
fecondazione artificiale e dei diritti delle coppie di fatto sia eterosessuali che omosessuali – ad
auspicare una maggiore prudenza della Chiesa nell'intervenire e una più profonda attenzione alla
complessità delle situazioni, nonché al rispetto della coscienza di chi è in esse direttamente
coinvolto.
Non sfuggivano certo al cardinal Martini le ambiguità dell'odierno progresso tecnologico in campo
biomedico. Consapevole dell'enorme potere acquisito dall'uomo, grazie al possesso di strumenti
sempre più sofisticati in grado di decidere della vita e della morte, e convinto dell'impossibilità che
la legge, anche la migliore, fosse in grado di prevedere tutta la ricca gamma dei casi umani, egli non
ha mancato di sottolineare la necessità di un «supplemento di saggezza», che consentisse di far
fronte alla varietà delle situazioni in modo proporzionato alle esigenze reali delle persone e al bene
dell'intera famiglia umana.
Ma ciò che soprattutto emerge dall'insieme del suo insegnamento in
questo campo è un sentimento di profonda fiducia nell'uomo e nella vita. Una fiducia radicata in
una fede viva che si fondava sull'autorevolezza della Parola. E ricavava da essa la forza per
muoversi senza paura né soggezione anche all'interno delle vicende umane più complesse e più
drammatiche, con una grande libertà interiore, con quella parresìa che è dono dello Spirito.
Giannino Piana, “Jesus” ottobre 2012