Vent'anni fa la morte di Giuseppe Dossetti: il ricordo del cardinal Martini

Moriva il 15 dicembre del 1996 Giuseppe Dossetti: politico, studioso, sacerdote, voce profetica della Chiesa e della società italiana del Novecento. Il 3 febbraio 1997 al Centro Culturale San Fedele di Milano si tenne una tavola rotonda in ricordo del monaco appena scomparso: insieme al fratello Ermanno, Bartolomeo Sorge SJ, Sergio Zavoli e Franco Monaco, intervenne anche il cardinale Carlo Maria Martini, allora arcivescovo di Milano. Riproponiamo qui il suo intervento, originariamente pubblicato su Aggiornamenti Sociali, in cui il cardinale prende spunto dagli incontri avuti con Dossetti, per metterne in luce l’aspetto spirituale di uomo di preghiera, uomo di Chiesa e uomo della Parola.


Sono particolarmente grato a padre Sorge che ha organizzato questa serata di commemorazione e a tutti i relatori che hanno rievocato la figura di quel grande maestro che è stato ed è ancora don Giuseppe Dossetti. Personalmente l’ho sentito e lo sento quale punto di riferimento importante, lo considero un profeta del nostro tempo non perché abbia pronunciato oracoli infallibili, bensì perché ha saputo scuotere, inquietare, aprire orizzonti, promuovere e sostenere slanci. Soprattutto lo considero un grande uomo della Parola di Dio, da cui ho sempre imparato la dipendenza da tale Parola. Più leggo di lui, più ascolto di lui, più lo scopro nella profondità della sua anima e nella straordinaria limpidità del suo spirito. Mi è accaduto anche questa sera, ascoltando cose nuove su Dossetti. Io vorrei semplicemente limitarmi a richiamare tre motivi, meglio tre aspetti per i quali l’ho avvertito molto vicino a me, in particolare negli ultimi anni.


Uomo di preghiera


L’ho sentito vicino come uomo di preghiera, e in proposito racconto un episodio che risale a circa ventincinque anni fa. Mi trovavo a quel tempo in Israele, dove mi recavo ogni tanto quale Rettore del Pontificio Istituto Biblico, per visitare la nostra residenza a Gerusalemme. Sapevo che don Giuseppe era nei dintorni e desideravo molto incontrarlo. Venni a conoscere che stava a Gerico, mi feci condurre là e gli chiesi di passare insieme una giornata monastica. Ciò che mi premeva infatti era di vedere come lui viveva, come pregava.

Non ho mai dimenticato quel giorno trascorso con Dossetti ora per ora, dai Vesperi fino alle Lodi del mattino e alla Messa. Durante i Vesperi si proclamava sempre il vangelo del giorno successivo, così da iniziare la meditazione sulla Parola. E nel momento della cena, molto sobria, tutti lo ascoltavano perché la sua era la parola autorevole propria di chi ha meditato a lungo e vive nel profondo quanto esprime. Lo si interrompeva a volte per assentire o per domandare qualcosa e poi riprendeva a parlare.

Non ricordo esattamente i temi della conversazione serale, pacata; ero invece colpito dal fatto che si sentiva quasi soltanto la sua voce. Don Giuseppe spaziava lontano, verso l’India e la Cina. In quegli anni si sentiva attratto dalla spiritualità indù; più tardi rettificò questa sua attrattiva, ma allora l’aveva, per così dire, scoperta e desiderava approfondirla.

Di notte dormii su una branda, in una stanza condivisa con altri; ci svegliammo prestissimo per la recita del lungo Ufficio mattutino che aveva tre caratteristiche, a cui Dossetti teneva molto. – Anzitutto la lectio continua della Scrittura: insisteva che la Bibbia va letta di seguito, non attraverso antologie o brani scelti. L’Ufficio comprendeva quindi questa lettura continua; poi mi disse che la riteneva assolutamente indispensabile per la formazione dei futuri preti, ben più importante della teologia e di altre materie; voleva che i preti si macerassero nella lectio continua, completa, ripetuta della Bibbia. – Nella lectio divina prendeva grande spazio la meditazione di un salmo; identico per tutti, veniva meditato nell’ora di silenzio da ciascuno e dopo si condividevano le intuizioni e le risonanze. Si leggeva tutto il Salterio nel corso della settimana (perciò molti salmi ogni giorno) e un salmo veniva scelto come particolare argomento di meditazione e di condivisione durante l’Eucaristia. – La terza caratteristica concerneva il ricorso ai testi originali. Il salmo doveva essere letto e meditato nel testo ebraico, ma non soltanto. Dossetti insisteva anche per la lettura in greco, nella versione dei Settanta, che egli contribuì a rimettere in onore, facendola ritradurre. Pure oggi continua questo impegno di portare all’attenzione l’antica tradizione greca.

Ricordo che aveva ricevuto di recente da Paolo VI il dono dell’edizione fototipica del Codice Vaticano B, uno dei più antichi codici greci della Scrittura, che io stesso avevo curato. Me lo mostrò quasi con affetto, perché poteva così leggere direttamente il testo greco nella sua forma più antica.

Lo sentivo dunque uomo di preghiera, maestro di preghiera e ritrovavo in lui quella diaconia della Parola che era tipica delle primitive comunità cristiane; quella per cui si dice, negli Atti degli Apostoli, al capitolo 6, che gli Apostoli abbandonarono il servizio delle mense, lo delegarono ad altri. Tutto in don Giuseppe girava attorno al servizio della Parola.


Uomo di Chiesa


Ci è stato prima detto che la grande scelta di Dossetti è stata la Chiesa; neppure il Diritto canonico, o lo studio, ma la Chiesa. Anch’io l’ho sentito uomo di Chiesa e, in proposito, si potrebbero menzionare tanti episodi, non tutti conosciuti, della sua fedeltà, della sua obbedienza silenziosa alle autorità ecclesiastiche. Personalmente l’ho sentito molto vicino al mio ministero episcopale e vorrei ricordare almeno un suo gesto, una sua parola che continua a risuonarmi nel cuore. Quando, nel gennaio 1980, fui nominato Arcivescovo di Milano, ricevetti migliaia di lettere, di telegrammi, ma mi rimase impresso solo il suo biglietto che diceva: «Milano non ascolti da lei se non il Vangelo e soltanto il Vangelo».

Dal momento che mi riconoscevo pienamente in quella espressione — pur se era arduo realizzarla —, avvertii un forte legame con lui. Questa sera ho compreso meglio perché Dossetti si sentiva vicino all’Arcivescovo di Milano; il profondo legame con il beato cardinale Schuster lo spingeva probabilmente a continuare una sua azione di stimolo e di presenza presso i suoi successori. Ed è così che l’ho incontrato in diversi luoghi: all’eremo San Salvatore di Erba, per esempio; parecchie volte in arcivescovado; quattro anni fa a Reggio Emilia dove mi aveva invitato a partecipare ad una lunga conversazione in Seminario, di cui parlerò più avanti. Ci intrattenevamo sempre su temi essenziali e, in questi casi, oltre a parlare, ascoltava con grande umiltà, professando di non saper dare consigli e però chiedendo tempo di preghiera per riflettere. La sua forza profetica (per la quale appunto parlava volentieri lui solo) si faceva silenzio, ascolto, desiderio di capire e umiltà, perché concludeva: «Pregherò e poi le dirò ciò che il Signore mi darà di comprendere».


Uomo della Parola


L’ho sperimentato inoltre come uomo della Parola sia in occasione della giornata trascorsa con lui a Gerico sia nell’incontro di Reggio Emilia del 1993, che mi è rimasto impresso. Si cominciava a discutere sull’esegesi storico-critica della Bibbia, i pareri erano pro e contro, le discussioni abbastanza accese. Dossetti prese molto a cuore il dibattito, vedendo che veniva messa in questione la giusta comprensione della parola di Dio, anche attraverso il metodo storico-critico, il ricorso ai testi originali, alla critica testuale. Fece subito ristampare alcuni tra gli articoli più importanti relativi alla controversia, pubblicati negli anni Ottanta, e poi mi invitò a Reggio Emilia. Venne anzi a Milano per spiegarmi il motivo che lo spingeva a desiderare la mia presenza. Io tenni la relazione principale, dal titolo Come un bambino in braccio a sua madre, sostenendo appunto come la Chiesa tiene tra le mani la Scrittura, e lui mi fu assai grato.


Conclusione


Termino la mia breve testimonianza menzionando un ultimo particolare. Domani mattina partirò per Lisieux con un centinaio di preti, in pellegrinaggio per il centenario della morte di santa Teresa di Gesù Bambino. Per questo mi è venuta alla mente una frase di don Giuseppe Dossetti, che sentii a Gerusalemme, negli anni Settanta: «Non leggo più altro libro se non la Sacra Scrittura. Ma c’è un’eccezione: leggo anche l’autobiografia di santa Teresa di Gesù Bambino». E, con parole che non ricordo a memoria, ma solo a senso, aggiungeva: la leggo perché vi sento vibrare lo spirito evangelico. È il motivo per cui io rileggo volentieri gli scritti di Dossetti e ho ascoltato volentieri parlare di lui questa sera.